Uscire dalla “comfort zone”? Ti aiuta a investire meglio

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IN BREVE

  • Gli investitori hanno la tendenza a investire soprattutto sul mercato del proprio Paese.
  • L’home bias ti preclude però molte opportunità di investimento e di guadagno.
  • Diversificare il rischio investendo fuori dalla tua zona di comfort paga.

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Home country bias: te ne abbiamo parlato, ricordi? Eppure, a noi italiani la mania ancora non passa, a giudicare dalla risposta all’ultima emissione del Btp. Chiediamoci, ancora una volta, se per caso non è limitante questa cosa, che pure ci accomuna ad altri popoli.

Un esempio? La Borsa canadese pesa solo il 3,4% sul mercato globale, ma il portafoglio degli investitori canadesi è esposto in media per il 52,2% all’azionario domestico. Le cifre cambiano naturalmente a seconda dei Paesi, ma il tema è sempre lo stesso: gli investitori sono sovraesposti sull’azionario di “casa loro”. Anche in Europa e, naturalmente, in Italia.

Nel Belpaese mancano dati ufficiali completi, per cui è difficile dire con precisione quanta Italia ci sia nei portafogli degli italiani. Un’indicazione di massima prova a offrirla l’ultima Relazione annuale della Banca d’Italia, che analizza la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane. Ebbene, stando ai dati disponibili, la percentuale di azioni italiane nei portafogli degli italiani si attesta in media intorno al 20%. Eppure, l’Italia pesa solo lo 0,67% sull’indice MSCI ACWI. Ma perché ci sono questi squilibri?

Dal cibo alla moda: ci piace scegliere il Made in Italy

Nessuno mette in dubbio la qualità del nostro cibo o il design dei nostri stilisti e architetti. Certo è che guardando al mondo degli investimenti forse sarebbe meglio aprire un po’ di più i propri orizzonti. Eppure, a noi italiani piace scegliere “italiano”, lo dimostra l’interesse per i Btp e la composizione dei portafogli finanziari dei nostri concittadini.

I motivi? Sono diversi: le società del nostro Paese ci sembrano più familiari, abbiamo maggiore confidenza e ci sembra di “conoscerle”; inoltre, a volte abbiamo una sorta di legame emotivo con aziende che sentiamo più “vicine” a noi. Mettiamoci anche un po’ di pigrizia e di forza dell’abitudine ed ecco che uscire dalla nostra “comfort zone” diventa veramente difficile. Non solo.

Come se non bastassero i nostri condizionamenti mentali, ci sono anche fattori esterni a spingerci verso l’Italia. Pur vivendo in un mondo estremamente connesso, dove le informazioni di certo non mancano, l’ottimizzazione dei motori di ricerca e l’effetto degli algoritmi tendono infatti a proporci feed di notizie che rispondono in qualche modo alle nostre preferenze: così, anche quando cerchiamo spunti per investire, rischiamo di ricevere comunque informazioni che riguardano in gran parte i mercati locali. Ma cosa implica l’home country bias per i nostri investimenti? Ci sono naturalmente aspetti positivi e aspetti negativi, ma possiamo dire che i secondi, in questo caso, superano i primi.

Vantaggi e (soprattutto) svantaggi del cedere all’home country bias

Partiamo dai pro. Investire nel proprio Paese significa investire in valuta locale. E questo elimina alla fonte il tema del rischio di cambio. Inoltre, la tassazione dei redditi derivanti dai tuoi investimenti – come i dividendi - possono essere tassati in modo diverso a seconda che la società che emette i dividendi sia domiciliata nel tuo Paese o all’estero. Ma i vantaggi finiscono qui. E investire solo sul mercato domestico ti preclude tutta una serie di opportunità che invece potresti cogliere con una buona diversificazione geografica – che è poi una delle regole d’oro per investire bene. Forse ricorderai che la diversificazione, per dare il meglio di sé, dovrebbe andare a braccetto con la correlazione: in estrema sintesi, non basta comprare titoli diversi. Bisognerebbe anche accertarsi che questi titoli non si muovano all’unisono – cioè che non salgano o scendano tutti allo stesso momento, ma che i guadagni di uno tendano a compensare le perdite dell’altro.
Per tutte queste ragioni, investire (anche) all’estero paga. Tanto per cominciare, uscendo dai confini nazionali diversifichiamo il rischio Paese. Inoltre, restare focalizzati sull’indice azionario italiano potrebbe impedirci di cogliere opportunità interessanti in settori che sono scarsamente rappresentati a Piazza Affari. Vedere per credere.

Come mostra il grafico, i settori finanziario e automotive, da soli, pesano circa il 53% dell’intero indice Ftse Mib, mentre la tecnologia – per dire – vale un misero 5,5%. Una situazione ben diversa da quella che si riscontra se si guarda alla composizione di un indice globale, come può essere l’MSCI ACWI (che poi è ampiamente influenzato da Wall Street): qui l’information technology pesa circa il 24%.

Infine, c’è il tema dell’eccessiva esposizione “personale” all’economia di un unico Paese. Se già stai lavorando in Italia, possiamo dire che il tuo “capitale umano”, inteso come la tua capacità di guadagnare lavorando, è esposto al mercato italiano. Meglio allora che il tuo capitale finanziario abbracci anche altri mercati, sempre nell’ottica di diversificazione del rischio.
Insomma, investire sul mercato italiano può anche dare delle soddisfazioni, ma ricorda di non esagerare con l’esposizione a un unico mercato. Fuori dalla tua zona di comfort c’è tutto un mondo ancora da scoprire.


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