Se si alzano i tassi scende l’azionario? Non proprio

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IN BREVE

  • Le banche centrali hanno iniziato il nuovo anno con un messaggio forte e chiaro: l’inflazione va domata, quindi avanti con i rialzi dei tassi
  • Come si muove il mercato azionario a seguito di una politica monetaria restrittiva messa in atto dalle banche centrali?
  • Fra tassi d’interesse e valori dell’azionario c’è una relazione complicata. Anche per questo è bene lasciarsi guidare da professionisti esperti

Ancora tu, avrebbe intonato un noto cantante italiano. Sì, perché purtroppo il tema dell’inflazione continua a ritornare e a essere protagonista indiscusso delle nostre vite. Lo sanno bene le banche centrali, come Fed e BCE che, sullo sfondo di un’inflazione in moderato ripiegamento e di un’economia che appare in tenuta, hanno iniziato l’anno con un nuovo ritocco al rialzo dei tassi d’interesse. Ma a parte le conseguenze su mutui e prestiti, che effetti hanno le politiche monetarie restrittive delle banche centrali sugli investimenti finanziari e, soprattutto, sull’azionario?

Da che cosa dipende, esattamente, il prezzo di un’azione?

Facciamo un passo indietro e chiediamoci, tanto per cominciare, da cosa dipendono le fluttuazioni dell’azionario. Ebbene, i prezzi variano ogni giorno, e alla fine tutto dipende dalla domanda e dall’offerta del mercato. Non solo. Molto schematicamente, possiamo dire che il prezzo di un’azione dipende:
• positivamente dai dividendi futuri che il mercato si aspetta che la società pagherà nel tempo;
• negativamente dai tassi di interesse offerti dai mercati obbligazionari;
• negativamente dal valore del premio al rischio richiesto dagli investitori per detenere le azioni.
Ma anche informazioni e notizie possono avere un loro impatto sulle variazioni di prezzo. Tra queste, gli annunci di politica monetaria relativi ai tassi d’interesse e non solo.

Politiche monetarie e quotazioni azionarie: un rapporto complesso

La relazione tra tassi di interesse e valori dell’azionario è piuttosto complessa. Proviamo a semplificarla per quanto possibile. Può capitare che un incremento dei tassi avvenga in un periodo di crescita economica e, di conseguenza, di crescita attesa dei dividendi corrisposti dalle aziende agli azionisti: si elevano i tassi proprio per contrastare i rialzi dei prezzi trainati dal miglioramento delle varie voci del sistema economico (mercato del lavoro, per dirne una: si veda il caso USA). In questo contesto, ci sta che l’azionario registri dei progressi anche in presenza di un aumento dei tassi d’interesse. In altri casi, invece, un incremento dei tassi può pesare sulla crescita economica contribuendo a determinare un rallentamento quando non addirittura una recessione, il che finisce col pesare sui profitti, sui dividendi e, di conseguenza, sul valore delle azioni.
Alla fine dei conti, molto, moltissimo, dipende dal rischio percepito dagli investitori in riferimento al rialzo (o al ribasso) dei tassi d’interesse. Per esempio, in questo primo scorcio di 2023 i timori di una recessione economica indotta dalle politiche monetarie ultra-restrittive pare essersi attenuato di parecchio, e ciò ha contribuito al rally dei mercati azionari cui abbiamo assistito all’inizio dell’anno.

I rialzi dei tassi proseguono: come reagirà l’azionario?

Vale quanto detto poco fa: tutto – o molto, almeno – dipende dalle aspettative del mercato. In generale, se il mercato azionario riesce ad anticipare la mossa restrittiva (o espansiva) della banca centrale, i dividendi futuri attesi e i tassi d’interesse futuri attesi non subiranno variazioni, essendo l’evento già previsto. Insomma, i prezzi delle azioni resteranno gli stessi. Se invece la manovra restrittiva (o espansiva) operata dalla banca centrale è in parte inattesa, il prezzo delle azioni cambierà: in caso di intervento restrittivo, calerà per effetto di un temporaneo incremento dei tassi d’interesse e di una flessione della produzione, dei profitti e quindi dei dividendi; a fronte di un intervento di segno completamente diverso (e quindi espansivo, appunto), salirà.

Effetto banche centrali sull’azionario: il caso del Dow Jones

C’è un precedente in tal senso, e risale all’andamento del Dow Jones registrato nel 1998 quando la Federal Reserve, dopo aver ridotto un mese prima i tassi d’interesse dello 0,5%, decise a sorpresa di tagliarli nuovamente dello 0,25%. L’indice Dow Jones aumentò in quell’occasione di oltre il 3%.

Comunque sia, non è agile e immediato stabilire una relazione univoca tra l’andamento dei tassi e i mercati finanziari. Una variabile chiave che potrebbe pesare sui mercati è l’aggressività con cui la Fed continuerà ad aumentare i tassi di interesse. Un’aggressività che dalle parole del presidente Jerome Powell sembrerebbe già essersi attutita: i mercati, infatti, prevedono ora un picco dei tassi già in primavera. Il numero uno della Fed, nel corso della sua ultima conferenza stampa, ha inoltre fatto ripetutamente riferimento al processo “disinflazionistico” che sembra ormai in corso. Una notizia che ha sostenuto i mercati azionari e le scommesse degli investitori sui prossimi tagli dei tassi.

Come mettere il portafoglio nella giusta prospettiva

Nel valutare la propria situazione, tenuto conto che l’azionario rimane un investimento importante sul lungo periodo, si può pensare di diversificare geograficamente – non solo azionario USA, per esempio, ma spazio anche agli emergenti – e magari anche temporalmente, con un ingresso graduale sui mercati, in modo da attutire i contraccolpi della volatilità. In ogni caso, bisogna sempre tenere a mente che economia e finanza appartengono a una galassia affascinante ma non sempre facile da esplorare autonomamente: decisamente meglio farlo con la guida di una consulenza finanziaria professionale.


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