Patto di Stabilità: austerità alle porte?

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IN BREVE

  • A fine aprile è arrivato l’ok al nuovo Patto di Stabilità e Crescita: prevista una maggiore flessibilità.
  • L’Italia ora rischia una procedura sul deficit con possibili effetti sui rendimenti dei nostri bond.
  • Con la possibilità di un taglio dei tassi in arrivo, meglio non distogliere l’attenzione dall’azionario.

Ascolta l'articolo (audio a cura di Fineconomy)

Sono tornati i “falchi” del nord Europa? Non proprio, ma sicuramente è riapparso il timore dell’austerità per il debito dei Paesi membri, dettato dalle rigide regole di Maastricht. Queste norme erano state temporaneamente sospese a causa della pandemia e del conflitto in Ucraina, ma la loro sospensione è durata solo fino al 31 dicembre 2023, con scadenza fissata per lo scorso gennaio 2024. Alla fine di aprile, il Consiglio Europeo ha così dovuto adottare tre importanti atti legislativi che modificheranno il panorama della governance economica e fiscale dell’Unione Europea.

E così siamo di nuovo alle solite: si discute di falchi, debito, riforme, procedure d’infrazione ed economia, con particolare attenzione rivolta alla situazione economica italiana, gravata costantemente da un rapporto debito/PIL che non ci fa di certo onore.

Le regole del nuovo Patto di stabilità sono cambiate rispetto al passato?

Non proprio, diciamo che sicuramente c’è un po’ più di flessibilità. Tra le misure di salvaguardia introdotte nel nuovo Patto troviamo che:

• i Paesi con un rapporto debito/PIL superiore al 90% dovranno ridurre tale rapporto dell’1% ogni anno, mentre per quelli con un debito/PIL compreso tra il 60% e il 90% la riduzione dovrà essere dello 0,5% all’anno. Pertanto l’Italia dovrà ridurre il suo debito di un punto percentuale all’anno, alla pari con Belgio, Francia, Grecia, Portogallo e Spagna. Quindi, la linea dura tedesca è passata.

Non solo: come tutti gli altri, l’Italia dovrà anche ridurre il deficit perché anche l’altra misura di salvaguardia cara ai tedeschi, ovvero la creazione di margini di spesa preventiva, è stata approvata.

• È stato impossibile eliminare il tetto del rapporto deficit/PIL al 3% e quello del debito/PIL del 60% perché entrambi i criteri fanno parte dei Trattati su cui si basa il funzionamento dell’UE. Quindi i benchmark rimangono, anche se con una modifica: l’accordo stabilisce che anche coloro che non superano il limite del 3% devono operare un’ulteriore riduzione per creare un divario dell’1,5%, in modo da essere pronti in caso di shock senza pressare i conti nazionali.
• Gli Stati membri dell’UE possono scegliere di intraprendere una traiettoria di riduzione di quattro o sette anni con un carico di lavoro meno severo. Per i Paesi con un deficit/PIL oltre la soglia del 3% è richiesto un aggiustamento dello 0,4% all’anno per quattro anni, che diventa dello 0,25% all’anno per sette anni. Qui, l’Italia ha ottenuto una clausola transitoria che tiene conto dell’aumento del costo degli interessi sul rimborso del debito pubblico dovuto all’aumento dei tassi di interesse della BCE. L’accordo prevede che fino al 2027 ci sarà un’applicazione flessibile delle regole fiscali, con la Commissione che tiene conto del maggior onere derivante dall’aumento dei tassi senza influire sui margini di spesa, che sono particolarmente utili per la doppia transizione.
• Sarà possibile chiedere una proroga del piano fino a un massimo di sette anni, se il Paese in questione si impegna a realizzare un insieme di riforme e investimenti che migliorano la resilienza e il potenziale di crescita, favoriscono la sostenibilità di bilancio e affrontano le priorità comuni dell’UE. Tra queste priorità, il conseguimento di una transizione equa, verde e digitale, la garanzia della sicurezza energetica, il rafforzamento della resilienza sociale ed economica e, se necessario, lo sviluppo di capacità di difesa.

Mentre la procedura sul deficit resta invariata, quella sul debito tiene conto del funzionamento del nuovo quadro pluriennale: l’idea è procedere a una valutazione ad ampio spettro, che prenda in considerazione, tra l’altro, il livello delle sfide relative al debito pubblico, gli sviluppi della posizione economica a medio termine, i progressi nell’attuazione delle riforme e degli investimenti ed eventualmente – visti i tempi – l’aumento della spesa pubblica per la difesa.

Come si posiziona l’economia italiana nei prossimi anni?

È chiaro che gli Stati ad alto debito come l’Italia dovranno operare attente scelte di spesa, anche se meno dolorose di quelle che sarebbero state necessarie se a gennaio fosse tornato in vigore il vecchio Patto di Stabilità.

Con tutta probabilità, il nuovo Patto non ci risparmierà una procedura per deficit eccessivo, che porterà a un’ulteriore stretta dei cordoni della borsa: tralasciando il rapporto debito/PIL (137,3%1), in quanto a deficit siamo al 7,4%2, ben più del doppio del target del 3%.
La domanda è: al di là dei tagli e di una “dieta” che appare inevitabile, quali ripercussioni avrà tutto ciò sulle emissioni di titoli di Stato e sugli interessi che bisognerà proporre ai sottoscrittori? In linea di massima, quando uno Stato ha bisogno di finanziarsi emette titoli di debito, e se i suoi conti pubblici non appaiono abbastanza solidi e convincenti deve proporre agli investitori, per solleticarli, rendimenti più appetibili ed eventualmente una protezione dall’inflazione.

Dobbiamo aspettarci rendimenti in ulteriore salita “per colpa” del Patto di Stabilità?

Nei mesi passati abbiamo già assistito a un incremento dei rendimenti, spinto dalle forti pressioni inflazionistiche, dai rialzi dei tassi BCE e della progressiva riduzione degli stimoli da parte della stessa banca centrale. E non abbiamo osservato questo movimento solo nella nostra bella Italia.

Per converso, gli spread – i differenziali di rendimento tra i vari decennali e quello tedesco, tipica spia della percezione del rischio finanziario associata a questo o quell’altro Stato – appaiono ancora su livelli molto contenuti rispetto a quelli visti negli anni passati. Italia in primis.

In attesa di osservare gli effetti dell’applicazione del Patto di Stabilità sugli spread, è bene non perdere di vista l’azionario, a ridosso di quello che potrebbe essere il primo taglio dei tassi della BCE (a giugno, forse), dopo i rialzi record dei tassi operati a partire dal luglio del 2022. Ma, parlando di Europa, sul tavolo restano altri importanti dossier: sempre a giugno avremo le elezioni per il rinnovo del Parlamento UE, tanto per dirne una.
Insomma, il quadro resta denso di eventi e di possibili novità.


1https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-euro-indicators/w/2-22042024-ap
2https://ec.europa.eu/eurostat/web/products-euro-indicators/w/2-22042024-ap

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