E se la FED non tagliasse i tassi?

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IN BREVE

  • L’inflazione negli USA ha frenato, ma fino a un certo punto: sintomo di un’economia che tiene.
  • Alla luce dei dati, il primo taglio dei tassi da parte della Fed sembra allontanarsi.
  • Sul mercato azionario, però, gli investitori non sembrano scoraggiati.

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Siamo di nuovo in quel periodo dell’anno. Quello, cioè, in cui il presidente e chief executive officer di JPMorgan Chase & Co. Jamie Dimon invia la sua lettera annuale agli azionisti. Una lettera in cui fa il punto sull’anno precedente e sulle prospettive, del suo colosso bancario ma non solo. “We sincerely hope to see the world on the path to peace and prosperity”, termina la lettera di quest’anno1 : “ci auguriamo sinceramente di vedere il mondo avviato verso la pace e la prosperità”.

E mai parole furono più dense di significato e implicazioni storiche, tenuto conto di tutto ciò cui stiamo assistendo in Europa e nel Medioriente. Eppure, in quanto a prosperità, se al momento Europa e Cina tentennano, gli Stati Uniti d’America si stanno difendendo niente male: mentre è in fase di avvio la nuova stagione delle trimestrali, le due immediatamente precedenti hanno mostrato utili in tenuta e un tech a dir poco scintillante (hai presente Nvidia?) e i dati su consumi e mercato del lavoro sollevano dubbi sul fatto che la Fed possa effettivamente dar seguito al primo taglio dei tassi già nella riunione dell’11 e 12 giugno2.

Se infatti la Banca Centrale Europea – alle prese con lo scenario di maggior debolezza dell’Europa – ha lasciato i tassi fermi anche nella riunione di giovedì 11 aprile3, ma sembra stare affilando le lame delle cesoie per una prima sforbiciata all’inizio dell’estate, per la Fed il primo taglio comincia a vedersi col binocolo proprio perché l’economia USA non mostra per ora segni di cedimento.

Fed: breve cronaca di quindici anni di lotta al rischio recessione (prima) e all’inflazione (poi)

Negli anni successivi alla crisi subprime, esplosa nel 2008, la debolezza dell’economia USA ha spinto la Federal Reserve a mantenere i tassi d’interesse in prossimità dello zero nel tentativo, appunto, di stimolare la crescita. Il tasso dei Fed Funds è rimasto a zero per sette anni, dall’inizio del 2009 alla fine del 2015. Poi c’è stato un tentativo di ritocco al rialzo – e, quindi, di ritorno alla normalità – fallito per via dell’esplosione di un’altra crisi: quella pandemica. Da quando ha preso il via il recupero dallo shock pandemico, è iniziata un’altra battaglia: non più alla debolezza economica ma all’inflazione, il segno più tangibile di un’economia in vivace ripresa.

I corposi rialzi inflazionistici iniziati nel 2021 hanno indotto la Fed ad aumentare i tassi di ben 525 punti base nell’arco di 18 mesi, tra marzo 2022 e luglio 2023, dal livello prossimo allo zero all’intervallo 5,25%-5,50%. I più si aspettavano che un rialzo così aggressivo avrebbe causato una recessione: non è andata così.

Due recenti esempi.
• Le vendite al dettaglio di marzo hanno largamente battuto le attese (il cosiddetto “consensus”).
• Decisamente robusto e sopra le attese anche il report sul mercato del lavoro riferito sempre al mese di marzo.

Numeri, in sostanza, che depongono ancora una volta a favore di un’economia molto resiliente. Sarà il caso che la Fed tagli i tassi prima dell’estate? La BCE con tutta probabilità lo farà a giugno (data da segnare in agenda: giovedì 6 giugno4), ma quel che si prospetta ora è una nuova fase di divergenza tra le politiche monetarie delle due sponde dell’Atlantico. Per giunta l’inflazione USA è sì stata domata, ma fino a un certo punto: l’ultimo aggiornamento sul CPI, il Consumer Price Index (o indice dei prezzi al consumo), segnala un aumento annuo del +3,5% (+3,8% al netto di cibo ed energia)5. Ben lontano dal picco del +9,1% raggiunto a metà 2022, ma ancora sopra l’obiettivo del 2% fissato dalla Federal Reserve.

Insomma, tra inflazione resistente da una parte e mercato del lavoro e consumi che tengono dall’altra, incombe un grosso punto di domanda sulle reali tempistiche dei tagli Fed. Tuttavia, sui mercati la fase rialzista – iniziata quando è andato in pausa il ciclo degli aumenti dei tassi e alimentata finora dalle attese forse un po’ troppo ottimistiche sull’avvio delle revisioni al ribasso – è andata incontro solo pochi giorni fa a un primo aggiustamento.

Diversificazione, transizione, lungo termine e consulenza finanziaria

Insomma, tra botte spesso e volentieri esagerate di ottimismo o pessimismo (e il passaggio dall’uno all’altro è non di rado repentino, anche a causa di una certa componente di emotività), la regola fondamentale resta quella della diversificazione: l’azionario deve continuare a rappresentare una componente del portafoglio per chiunque investa in un’ottica di lungo termine.

Ma attenzione: fissarsi su un settore o su un’area geografica ha poco senso, perché si rischia di non intercettare quelle storie che invece possono avere prospettive interessanti. Le infrastrutture, per esempio: con la transizione energetica e digitale (ma anche con la ricostruzione postbellica), lo scenario che si profila è, al di là delle contingenze, variegato e meritevole di considerazione.

Come sempre è fondamentale ragionare in ottica di pianificazione finanziaria, creando quindi una strategia di ampio respiro che tenga conto dei tuoi obiettivi, della tua propensione al rischio e del tuo orizzonte temporale.


1https://reports.jpmorganchase.com/investor-relations/2023/ar-ceo-letters.htm
2https://www.federalreserve.gov/newsevents/calendar.htm
3https://www.ecb.europa.eu/press/pr/date/2024/html/ecb.mp240411~1345644915.en.html
4https://www.ecb.europa.eu/press/calendars/mgcgc/html/index.en.html
5https://www.bls.gov/news.release/cpi.nr0.htm

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